Non studio non lavoro non guardo la tv (Una riflessione sui NEET)

24 Lug 2013 - Articoli

Se ne parla da tempo, e avrete ormai familiarità con il termine.

Per chi ancora se lo stesse chiedendo, NEET è l’acronimo di “Not in Education, Employment or Training” ed individua quei giovani della fascia di età 16-29 anni che semplicemente… non fanno niente.

“Sfiduciati”, “depressi”, “svogliati” e anche “bamboccioni”: questi alcuni degli altri termini con cui sono stati individuati.

Non è mancato chi si è interrogato sul loro costo “sociale” ed è stato evidenziato che il problema non è presente solo nel nostro Paese (anche se in molti stati europei in mancanza di lavoro i giovani cercano di formarsi e specializzarsi sfruttando le occasioni di formazione finanziata, cosa che da noi sembra invece non succedere, portando ad un consistente aumento del numero dei “completemente inattivi”).

Adesso si stanno preparando misure “ad hoc”, che vadano a facilitare il collocamento dei giovani “neet”.  

Le misure proposte sono sicuramente interessanti, ma è necessario fare attenzione.

Senza un adeguato supporto, senza un reale progetto il rischio più grande è quello di spendere molto per favorire la “creazione” di posti di lavoro ben poco qualificanti e l’attivazione di tirocini privi di una reale componente formativa.

Esperienze che una volta terminate (sappiamo bene che oggi il termine “posto fisso” è privo di significato) difficilmente avranno permesso di maturare competenze capaci di migliorare l’occupabilità o anche solo di rendere i partecipanti maggiormente “consapevoli” rispetto al mercato del lavoro, e quindi di allontanare le persone interessate dal “rischio neet”.

La mia non vuole essere una critica, mi mancano sicuramente gli strumenti e la “visione d’insieme” per giudicare la complessiva bontà dei provvedimenti proposti.

Semmai il mio vuole essere un suggerimento: per evitare di “dare il pesce al posto della canna da pesca” sarà necessario pensare delle azioni che vadano a potenziare le capacità dei giovani coinvolti di inserirsi efficacemente nel mondo del lavoro,  azioni che operino anche sugli aspetti motivazionali e progettuali dei singoli.

Che è diverso dal rendere una specifica categoria “appetibile” per l’assunzione, salvo poi farla ripiombare nel problema una volta terminati gli incentivi.

Senza questi elementi il massimo risultato ottenibile sarà quello di “falsare” le statistiche fino a quando dureranno gli aiuti, salvo poi non operare nessun cambiamento duraturo.

Sarebbe drammatico a mio parere rimandare semplicemente la gestione della problematica, senza utilizzare il tempo guadagnato per aiutare i “neet” a costruirsi un futuro diverso.

Si ritroverebbero di nuovo senza lavoro nè istruzione. E non sarebbero più nemmeno così giovani.

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