Anche i recruiter sbagliano

3 Dic 2013 - Articoli

Anche chi si occupa di selezione può sbagliare.

E se è vero che “un errore può capitare a tutti”, è anche vero che a volte ci sono errori “non casuali”, basati su determinati processi di pensiero e fatalmente destinati a ripetersi…

Bias

Mi riferisco ai bias, distorsioni sistematiche della capacità di giudizio che tendono a ripetersi perchè fortemente collegati a qualche preconcetto del selezionatore stesso.

Di seguito un piccolo elenco dei più “pericolosi”… almeno per il buon esito della selezione!

Effetto “prima impressione”

E’ vero che un cadidato che sia assertivo e fiducioso, che “si presenta bene”, che sia in grado di “fare una buona prima impressione” inizierà il colloquio con dei punti a suo favore. Ma un buon recruiter sa che non può fermarsi a questo, se non vuole rischiare di scegliere “una bella scatola vuota”: ricordo ancora il racconto di quel titolare che selezionava i suoi collaboratori “solo sulla base della stretta di mano”.

C’è da dire che l’ultimo dipendente che aveva assunto non si presentava al lavoro da due mesi, producendo scuse via via meno plausibili. Ma questo è un altro discorso.

Effetto “primo e ultimo”

Lo sappiamo fin dai tempi delle scuole superiori: mai presentarsi per primi (o per ultimi) ad una interrogazione. Il problema esiste anche nella selezione: se è vero che il primo e l’ultimo candidato verranno ricordati meglio, è anche vero che ci può essere maggiore attenzione (leggi: sopravvalutazione) dei loro pregi e difetti.

Effetto “alone”

Quel candidato ha una caratteristica, magari davvero una sola, che piace tanto al recruiter. Ma proprio tanto. La valutazione positiva di questo aspetto tenderà a coinvolgere anche tutti gli altri, fino a rendere il candidato la “scelta perfetta”. Ma sarà vero?

dunce

Effetto “proiezione”

Quel candidato ha una caratteristica che ha anche il selezionatore. E che quindi è automaticamente positiva: può essere la provenienza, gli studi fatti o la fascia di età, poco importa. Quel candidato ci piacerà e scegliendolo saremo convinti di fare la scelta giusta, perchè in realtà stiamo “scegliendo” noi stessi. Anche in questo caso, il rischio è evidente.

Effetto “di conferma”

Il candidato ci sta facendo una determinata impressione, e anche se non abbiamo ancora formulato un giudizio completo cominceremo (più o meno consapevolmente) a prestare selettivamente attenzione solo agli elementi che ce la confermeranno. Al termine dell’intervista, l’opinione sarà completamente formata, e coerente con le nostre aspettative. E aggiungo, molto probabilmente sbagliata.

Effetto “fiducia eccessiva”

Questo bias può manifestarsi specialmente nel caso di una selezione per più persone adibite alla stessa mansione. Una volta che hai “indovinato” il primo candidato, cerchi inconsapevolmente di trovare i suoi “cloni”. A discapito degli altri candidati ugualmente validi ma “troppo diversi da”.

Effetto “sordità improvvisa”

Il candidato dice qualcosa che “non va”. Il problema è che da quel momento il recruiter smette totalmente di ascoltare e aspetta pazientemente la fine del colloquio per mettere il c.v. nel mucchio degli “scartati”. Se è vero che possono esserci affermazioni “killer” da parte dei candidati, è comunque vero che tutto il tempo del colloquio deve essere ben utilizzato per costruirsi un’opinione realmente utile.

Una dedica

Questo post è pensato per i candidati, ma è dedicato ai colleghi recruiter. Non voglio sembrare supponente, di certo non verrò a dirvi che “io questi errori non li faccio mai”. E’ solo che nell’ultimo periodo sento tante, troppe persone del settore “vantarsi” di riuscire a fare selezioni sulla base di una sola risposta, o anche solo di un’occhiata. Il momento non è semplice, la concorrenza è agguerrita e i clienti sono esigenti: non mi sembra comunque un buon motivo per elevare i nostri errori a “buone pratiche” di cui addirittura vantarsi.

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