10 cose (più una) che i recruiter odiano dei candidati
11 Feb 2014 - Articoli
Secondo una ricerca pubblicata da Robert Half, l’ 80% dei direttori del personale si forma un’idea ben precisa del candidato entro i primi 10 minuti di colloquio, e meno del 40% di loro è disposto in seguito a cambiare idea.
Come dire che il resto del colloquio è dedicato unicamente a cercare elementi che confermino la prima impressione.
Su questo dato sono un po’ scettico (in fondo la ricerca è basata sull’autovalutazione): studi sperimentali dimostrano che la prima impressione su di una persona si forma in 60-90 secondi, mentre per correggerla è eventualmente necessario un tempo molto maggiore.
Eccomi quindi a parlarvi degli errori che i buoni candidati sanno evitare, sotto forma di piccolo catalogo dei “soliti sospetti”.
Non metto in dubbio che siano cose che sapete già.
In fondo nessuno farebbe mai errori così banali.
Giusto?
Il candidato “con l’orologio scarico”: Tutti sanno che non si arriva in ritardo ad un colloquio di lavoro. Però nemmeno l’anticipo esagerato fa buona impressione. Già che stiamo parlando di tempo, uno sfortunato imprevisto può sicuramente capitare a tutti, ma avvisare del ritardo solo 5 minuti prima non vale.
Il candidato “economico”: Di regola, non si chiede il compenso previsto durante un primo colloquio. Oltre a tutte le possibili considerazioni su motivazione e interesse per la posizione offerta, è proprio una cosa che “non si fa”. Aspettate un successivo incontro: anche il recruiter avrà avuto modo di valutarvi meglio e di farvi un’offerta coerente.
Il candidato “impreparato”: “Perchè vorrebbe lavorare qui?” e “Cosa sa di questa azienda?” sono due grandi classici del colloquio di lavoro. Sarà per questo motivo che l’impressione fatta dai candidati che rispondono “non lo so” è così brutta. Informatevi, in fondo internet serve anche a questo.
Il candidato “incavolato”: sì, lo capisco che nel tuo precedente posto di lavoro ti trattavano davvero male, e che il tuo vecchio capo era un bastardo. Però oggi ci siamo incontrati per parlare del tuo possibile nuovo lavoro, e pensare che un domani potresti parlare anche di me in questo modo mi mette un pochino a disagio. Se arriva la domanda sul “precedente lavoro”, cercate di risolverla con brevità e diplomazia.
Il candidato “dallo sguardo fisso”: è vero, il contatto oculare è un elemento importante della comunicazione non verbale. Tuttavia fissare ininterrottamente il selezionatore per 60 minuti può non essere una buona idea. Allo stesso modo, fissare con la stessa passione la punta delle proprie scarpe o la penna sul tavolo non è proprio raccomandabile. Una via di mezzo va benissimo, magari intervallata da un bel sorriso ogni tanto.
Il candidato “ultrasonico”: va bene l’entusiasmo, va bene il tono di voce energico ed il proporsi assertivamente. Ma se il candidato sta praticamente urlando dopo non molto il recruiter farà molta fatica ad ascoltarlo. Altrettanto difficile è sostenere un colloquio con la tipologia opposta, il candidato “senza voce”.
Il candidato “distratto”: cellulari accesi che squillano con improbabili suonerie, c.v. pieni di errori ortografici, totale assenza di ricordi relativi alla posizione per cui ci si è candidati. Una distrazione può capitare a tutti. Due, anche. Dopo, è un vizio.
Il candidato “simpatico”: Magari è assolutamente competente, ed ha ottenuto ottimi risultati nelle precedenti aziende dove ha lavorato. Ma questo non lo autorizza comunque ad essere scortese alla reception, a considerare ogni richiesta di specificare meglio le sue competenze come un affronto personale e ad insinuare in ogni momento che “poi comunque dovrò valutare la vostra offerta.” Ci sono ottime possibilità che l’offerta in questione non arrivi mai.
Il candidato “disponibile”: tutti apprezzano la disponibilità. Un po’ meno se questa si traduce in “mi interessa qualunque lavoro, per qualsiasi paga.” La situazione del colloquio può portare il candidato ad esagerare un poco, ed è un elemento da tenere presente. Ma se è “troppo”al recruiter verrà semplicemente il dubbio che ci sia una scarsa riflessione dietro le risposte. O che lo stiano prendendo in giro.
Il candidato “malvestito”: personalmente non ci faccio molto caso, comunque la regola d’oro è sempre quella di avvicinarsi allo stile “classico” della posizione per cui ci si candida. Quindi no a commerciali in tuta da ginnastica, no a tecnici di produzione con cravatta e gemelli. Un pizzico di buon gusto non guasta mai. [Una volta ho fatto un colloquio ad una persona in pareo e infradito. Va bene, lavoravo in una cità di mare. No, non era una posizione da bagnino.]
Il candidato “accompagnato”: gettonatissima la “scorta” di genitori e fidanzate. Quando si accenna a questa eventualità c’è sempre chi si scandalizza o ridacchia, pensando che il recruiter stia esagerando. Eppure…
E adesso che sapete cosa è bene non fare ad un colloquio di lavoro… non fatelo!
Tag: candidati, colloquio, errori, impressione, recruiter, selezione
Qualche lustro fa, il mio primo recruiter fu l’AD (cresciuto e quasi invecchiato all’interno) di una azienda produttrice di articoli sportivi nota a livello internazionale.
Dopo i convenevoli e le presentazioni, mi fece solo due domande al colloquio:
D – Cosa sai fare?
R (Io) – Niente.
D – E allora perchè sei qui?
R – (Io) – Per lavorare.
…seguirono una decina di secondi di interminabile silenzio…
E dopo l’AD esordì: – Domani…mattina…dopo le 8.30…porta libretto di lavoro, carta di identità e certificato di resid o equivalente autocertificazione alla sig.ra XXX dell’ufficio del personale che per lunedì prossimo ti voglio operativo. Furono quattro anni di lavoro intenso e riconosciuto, quando me ne andai l’AD mi fece due rilanci e poi mi confessò di essere dispiaciuto, augurandomi buona fortuna.
Questa esperienza mi insegno’, col senno di poi, due cose:
1° I recruiter veramente bravi sono rari, in grado di leggere il meta-senso delle parole e di fare il match azzeccato tra domanda ed offerta in quanto riescono (forse) ad immedesimarsi nel loro cliente (Azienda, imprenditore…datore di lavoro in genere)
2° Il resto dei recuiter (la maggioranza) sono attrito e frizione per i lavoratori nel mercato del lavoro, ovvero dissipatori di risorse…e non solo umane. Inoltre nell’ambito delle professioni tecniche, sopratutto le donne recruiter sono estremamente impreparate riguardo ai dettagli delle professioni tecniche…non è colpa loro e non è neppure “sessismo”…ma almeno che una dott.ssa in lettere e filosofia o in scienze umane/sociali non si metta a fare da recruiter agli ingegneri…cosa che purtroppo spesso accade…le soft skill servono a poco se non sono supportate dai numeri…
Bye
Si figuri, io ho conosciuto un Amministratore Delegato perfino più bravo del suo! Si vantava di riuscire a selezionare le persone in un attimo, soltanto sulla base della stretta di mano. Ovviamente citava soltanto i casi di “successo” (statisticamente, anche provando a caso qualche volta si azzecca…) e dimenticava prudentemente tutti gli altri.
Si tratta di una forma di pensiero “magico”, non tanto diversa da quella che porta i candidati a ritenere validi e competenti solo i selezionatori che li hanno “scelti” e svalutando le capacità e la professionalità di tutti gli altri.
Ma si sa, la selezione è sempre un’attività semplice ed abbastanza scontata… per chi non la fa.