“…e al lavoro, social bloccati!” Forse.

14 Ott 2014 - Articoli

Social “permessi” o social “vietati” sul posto di lavoro?

La questione è piuttosto antica, ma uno studio realizzato da Samsung fornisce indubbiamente nuovo materiale di riflessione.

L’orario “di lavoro” è un po’ cambiato…

Il primo dato che colpisce di questa ricerca (realizzata con il contributo di 4500 lavoratori europei) è che per il 75% dei partecipanti i tempi di vita e quelli di lavoro sono fortemente interconnessi: si ricevono messaggi e si mandano e-mail lavorative anche fuori dal classico orario di ufficio.

E si pagano le bollette (e si consultano i social) anche dalla propria scrivania.

Gli italiani guidano questa non esattamente lusinghiera classifica, con l’86% degli intervistati che si occupano di faccende personali sul lavoro:

Italia in testa, ma anche gli altri paesi non sono esattamente irreprensibili...

Italia in testa, ma anche gli altri paesi non sono proprio irreprensibili…

Le specifiche di “cosa” venga fatto durante queste pause personali sono molto variabili a seconda del Paese: il 63% dei lavoratori italiani intervistati trascorre fino a 45 minuti sui social (ed il 51% impiega 30 minuti ogni giorno per leggere le notizie), mentre il 65% dei lavoratori inglesi dedica almeno 30 minuti allo shopping online (o, nel pieno rispetto dello stereotipo, a controllare il meteo).

“Ah, sì? E allora blocchiamo tutto!”

Solo il 51% degli intervistati dichiara di lavorare in realtà che non abbiano imposto un qualche tipo di restrizione agli accessi sul web. Nel 40% dei casi, Facebook è espressamente bandito per policy aziendale.

A vedere le percentuali poco sopra non me la sento certo di dare torto a queste aziende, e tuttavia…

Primi assoluti, gli "insospettabili" inglesi

Primi assoluti, gli “insospettabili” inglesi

1 lavoratore su 3 “aggira” comunque il divieto aziendale, in molti casi utilizzando il proprio smartphone o tablet. I meno rispettosi della norma sono i lavoratori più giovani, per i quali la percentuale sale fino quasi al 50%.

“Ma allora che cosa facciamo?”

La ricerca mostra un ultimo aspetto interessante: dato il mix di tempi lavorativi e tempi privati, non è raro che gli intervistati ricorrano ai propri strumenti personali per svolgere in maniera più efficiente compiti che divengono quasi impossibili su computer con limiti di accesso. 

"Ero al mio cellulare... ma per una cosa di lavoro!"

“Ero al mio cellulare… ma per una cosa di lavoro!”

Più in generale, i dati della ricerca sembrano suggerire che le aziende stanno perdendo la battaglia per limitare l’accesso ai social dal posto di lavoro: inserisci un blocco, ed i tuoi dipendenti utilizzeranno il loro smartphone.

Certo, non è corretto. Ma per assoluta correttezza si dovrebbero eliminare tutte le comunicazioni di lavoro che avvengono fuori dall’orario d’ufficio… altro compito che vedo poco probabile.

Una soluzione? Forse, uscire dalla logica del “blocco” (e qui potrebbe davvero starci una riflessione di taglio molto psicologico su quanto il “proibito” diventi automaticamente “desiderabile”…) e fare appello al buon senso, da entrambe le parti.

Non è escluso che se ne possano avere anche dei benefici.

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