Magari Facebook non ti farà perdere un lavoro, ma LinkedIn potrebbe aiutarti a trovarlo

19 Nov 2015 - Articoli

I dati del Work Trends Study di Adecco cercano ogni anno di aiutarci a capire “come” sta cambiando la ricerca e selezione del personale, specie in relazione all’uso dei social network. La ricerca è realizzata a livello mondiale, con un paragrafo dedicato all’Italia, ed è assolutamente interessante sia per i recruiter che per i candidati.

Peccato che l’unico dato ad ottenere risonanza è il “rischio Facebook”: La Repubblica, Il Sole 24 Ore, Vanity Fair e Wired hanno dato principalmente risalto al fatto che un terzo dei selezionatori intervistati dichiara di aver scartato un candidato sulla base della propria reputazione digitale su Facebook.

Magari il dato sarà anche di impatto, ma non è certo l’unico e va contestualizzato (elemento che ha già portato Osvaldo Danzi a fare un po’ di chiarezza): personalmente, credo che i candidati che postano “qualsiasi cosa” sul proprio profilo social siano una razza in estinzione, anche se forse è opportuno non dare mai niente per scontato. Sicuramente è prudente evitare post di dubbio gusto o che potrebbero urtare la sensibilità altrui (si dice che i tre grandi temi da non toccare mai siano la religione, la politica e… il campionato di calcio), ma tutto sommato questa è una regola valida anche per chi non sia alla ricerca di lavoro.

Vorrei quindi dedicare questa riflessione agli elementi positivi della digital reputation: una buona presenza sui social network può effettivamente far pendere l’ago della bilancia in favore di un candidato?

Dalla lettura dei dati della ricerca sembrerebbe proprio di sì: sempre di più i recruiter si dichiarano interessati a verificare il network del candidato (67%),  i contenuti pubblicati (57%)  e la reputazione digitale  (50%).

E queste “verifiche” vengono necessariamente effettuate su LinkedIn, l’unico social che permetta concretamente di mettere in risalto questi elementi. Quindi un candidato che abbia saputo costruirsi un buon network professionale, pubblichi contenuti interessanti e coerenti e sia in grado di presentarsi in maniera “adeguata” ha ottime probabilità che questi elementi vengano presi in considerazione, a tutto vantaggio della propria candidatura.

Certo, nemmeno questi elementi positivi potranno essere considerati come “prove definitive”… ma cosa pensare allora di tutti i candidati che non riescono a proporsi in maniera adeguata? “Pigrizia” nello sviluppare la propria identità digitale o mancanza di contenuti?

Piccola nota, con annessa polemica: spiegare i meccanismi della selezione del personale a chi non se ne occupa professionalmente non sempre è facile. Alcune scelte possono far sembrare il recruiter una specie di cerbero, pronto a scartare il candidato alla prima occasione. Ecco quindi una piccola considerazione polemica: quel 35% di colleghi che utilizzano i social network per “scoprire tratti di personalità” dei candidati, a cosa guardano di preciso? Perchè fino a che si parla di valutare positivamente un buon lavoro di personal branding concordo pienamente con loro, ma se si intende il “fare strane inferenze sulla base di dati insufficienti” o peggio ancora “giocare allo psicologo tanto sono buoni tutti” allora potremmo altrettanto validamente tirare fuori le bacchette da mago… 

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