“Il colloquio? Soltanto se sei bella”

4 Ott 2013 - Articoli

Uscita un paio di settimane fa, una ricerca dell’università di Messina riporta un dato per cui è difficile trovare una definizione: le donne “brutte” hanno circa 1/8 delle probabilità di essere chiamate a colloquio rispetto alle “belle”.

Vi lascio un attimo di tempo per “assimilare” il dato.

[Intanto agli interessati racconto che la ricerca è stata strutturata sull’invio di alcune tipologie “base” di c.v. a cui volta per volta venivano cambiate foto di accompagnamento,  nominativo e sesso del candidato. Le candidature sono state effettuate in aziende di tutta Italia su più di 1400 offerte di lavoro per posizioni varie, e la “bellezza” delle foto dei candidati è stata stabilita sulla base del giudizio di 100 studenti dell’Università chiamati ad indicare il gradi di “piacevolezza” delle immagini sia “al naturale” che ritoccate con l’aiuto di Photoshop. Il grado di “successo” della candidatura è stato misurato sul numero di ricontatti a seguito dell’invio del c.v. Insomma, sembra proprio che siano stati adottati tutti i criteri giusti. Qui trovate la ricerca completa]

Il dato va a confermare una delle più classiche “conoscenze empiriche” in materia di screening dei candidati. “C’era da aspettarselo”, starete forse pensando.

A mio parere, la ricerca rivela invece un po’ di cose non scontate: la prima è sicuramente che un buon numero di persone si occupano di recruiting senza averne gli strumenti (o quanto meno, senza essere consapevoli dei bias a cui è sistematicamente sottoposto il proprio giudizio).

La seconda, di maggiore interesse per i candidati, è che inserire la propria foto nel curriculum vitae non è necessariamente un obbligo.

Nel dettaglio che segue la percentuale di “callback” per tutti i candidati (il bias è presente anche per gli uomini, anche se in modo meno significativo) nelle 3 situazioni possibili: foto “bella”, foto “brutta”, nessuna foto.

blog 2

Come potete vedere, le percentuali sono decisamente a favore dei curriculum vitae senza fotografia, rispetto a quelli con foto “brutte”.

Scegliersi la foto

Il problema principale deriva dal fatto che noi stessi siamo pessimi giudici delle nostre immagini: una particolare fotografia può ricordarci momenti molto piacevoli, e pertanto apparirci bella. Non è detto che lo sia.

A volte non prestiamo nemmeno molta attenzione a questo “dettaglio”, inserendo in curriculum la prima foto che ci capita sotto mano. Visti i dati, mi sento di sconsigliarlo.

Ma allora che fare?

I “dettami” del personal branding raccomandano di scegliere immagini che ci ritraggano in situazioni professionali, magari scattate da mani esperte, preferibilmente frontali o di 3/4. Non è necessaria la figura intera. Sconsigliabili occhiali da sole, pose particolari, “scene da un matrimonio” in cui eravate eleganti sì, ma anche palesemente sotto l’influsso dell’alcool. Se stavate per caso prendendo in considerazione “quella bella foto in costume dell’estate scorsa” avete sbagliato blog.

In caso di dubbio, come avete visto, non mettere niente  è preferibile al mettere una foto inadeguata.

E su LinkedIn?

Su LinkedIn la foto è “obbligatoria”: non ha molto senso voler allargare i propri contatti e “farsi conoscere” senza metterci la faccia. Quindi cercate di fare del vostro meglio, evitando la foto-tessera con l’espressione da ergastolani e cercando magari la collaborazione di quell’amico che si è recentemente appassionato alla ritrattistica amatoriale (ne avrete sicuramente almeno uno, state tranquilli).

Valgono poi i consigli generali dati sopra: la foto deve essere ben fatta, mostrarvi in atteggiamento professionale, inquadrare bene la faccia e se possibile avere un certo “appeal”.

Per darvi un riferimento, il risultato ottimale sarà quindi qualcosa che si avvicina molto a questo:

gatto carino

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